È stata la genialità di un uomo a notare questo nostro particolare modo di riassu¬mere e simbolizzare i nostri vissuti a livello corporeo. E sempre lui, assieme ai suoi collaboratori, ha ideato i sei Passi per aprire questa porta ed entrare nel mondo della rappresentazione corporea. Quest’uomo era il dottor Eugene Gendlin, psicologo, filosofo e accademico di fama mondiale. Mentre stavo finendo di scrivere questo libro è morto in pace alla bella età di 90 anni, accompagnato dall’affetto profondo e dalla riconoscenza dei numerosi discepoli sparsi in tutto il mondo.
Gendlin a suo tempo è stato discepolo di Carl Rogers, uno dei padri fondatori della psicologia umanistica. Insieme collaborarono al ”Progetto Wisconsin” negli Anni Settanta, studio applicato al campo della ‘terapia centrata sulla Persona’, in cui furono coinvolti più di cinquecento tra psicoterapeuti e counselor (Rogers a un certo punto stette male e lasciò l’intera operazione nelle mani di Gendlin, poiché lo considerava il suo miglior ricercatore). Il risultato della ricerca fu deludente: congruenza, empatia, accoglienza incondizionata non sembravano portare di per sé al cambiamento e alla crescita del cliente, anche se il loro contrario li ostacolava: incomprensione, criticismo, direttività, incongruenza, non accettazione
Rogers e Gendlin già precedentemente a tale studio erano arrivati a comprendere che nel cliente c’era Qualcosa con cui bisognava interagire: lo chiamavano il Referente diretto. E fu proprio Gendlin a portare avanti la ricerca di quel Quid con l’aiuto dei suoi assistenti quando divenne capo del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Chicago. Insieme registrarono migliaia di ore di psicoterapia, con terapeuti diversi, appartenenti a scuole diverse: Psicoanalisi, Comportamentismo, Gestalt, Bioenergetica, Psicodramma … Lo scopo della ricerca era comprendere perché la psicoterapia fosse spesso così lunga e poco efficace: erano i tempi in cui un processo d’analisi durava anni.
Il risultato della ricerca fu’ davvero sorprendente: l’indirizzo terapeutico risultò poco rilevante, e a sorpresa la bravura del terapeuta risultò meno importante di quanto ci si sarebbe aspettati. Ciò che invece faceva la differenza tra una terapia andata a buon fine o meno era qualcosa che facevano spontaneamente alcuni clienti. Che cosa faceva il cliente la cui terapia andava a buon fine? Risultò presto evidente, dall’enorme mole di materiale esaminato, che i clienti che miglioravano erano quelli in grado di percepire i loro vissuti nel corpo, prima ancora di capirli. “Le ricerche indicano con certezza che la terapia fallirà se non è esperienziale’” sostenne Gendlin; ed aggiunse che lui e i suoi assistenti si resero ben presto conto di essere in grado di predire il successo o l’insuccesso di una terapia già ascoltando le prime due o tre registrazioni delle sedute.
Poiché questa particolare abilità percettiva che alcuni clienti possedevano faceva la dif¬ferenza tra il successo e l’insuccesso, Gendlin cercò di metterla a fuoco, e così nacque il Focusing. Data l’importanza della scoperta, molti addetti ai lavori gli chiesero di insegnare loro questa particolare abilità. Gendlin confessò che in un primo momento la sua formazione accademica lo portò a pensare che non fosse possibile insegnarla, perché alcune persone la possedevano e altre no, semplicemente. In seguito la sperimentazione dimostrò il contrario.
Col senno di poi sarebbe più esatto parlare di riappropriarsi di una facoltà che già possediamo, il Sentire-Percepire, che è in disuso o largamente sottovalutata dalla nostra cultura tutta a favore del Capire.
Dopo questa scoperta epocale, Gendlin fece una mossa geniale e coraggiosa: diede il Focusing a tutti, invece di limitarlo a una psicoterapia specifica. Questo gli valse per molti anni l’ostracismo dei suoi colleghi psicoterapeuti, rogersiani e non. In realtà egli dimostrò generosità e lungimiranza, poiché il Focusing ha a che vedere con il modo in cui gli esseri umani funzionano, quindi è un loro diritto esserne consapevoli. Bisogna però riconoscere che solo una persona molto speciale è in grado di fare una scelta così coraggiosa.
Naturalmente, questo non significa che la psicoterapia non sia più necessaria, infatti il Focusing venne utilizzato fin dall’inizio in psicoterapia e nel counseling, dando vita alla modalità di lavoro chiamata ‘Focusing Oriented Therapy’ (FOT). Però sono soprattutto le persone comuni a utilizzarlo nella loro vita, poiché è uno strumento semplice ed efficace, anche se non tutti possono usarlo da subito. Alcuni esseri umani hanno prima bisogno di un po’ d’aiuto. C’è un’immagine che rende l’idea: puoi usare il Focusing se sei in grado di camminare sulle tue gambe anche se in maniera traballante, ma se sei finito a gambe all’aria hai prima bisogno di qualcuno competente che ti aiuti a rimetterti in piedi e a rimanerci in maniera sufficientemente stabile. Per inciso, nel corso degli anni, ho notato che il Focusing stesso fa da discriminante: infatti le persone che hanno problemi di una certa importanza non riescono a stare con ciò che sentono, per una ragione o per l’altra, e il Focusing funziona proprio in questo modo. Vorrei però aggiungere la mia opinione in proposito: ritengo che la psicoterapia sia molto più diretta ed efficace se il terapeuta conosce ed usa anche il Focusing.